Una bolognese a Lima: coraggio e passione

Carla_Cenacchi

Intervista di Davide Martino per Bologna Connect

Carla Cenacchi, una donna bolognese, con una vita intensa ed interessante, che l’ha portata letteralmente dall’altra parte del mondo: da Bologna e l’Appennino fino alle Ande in Perù. Nel corso dei decenni ha lavorato come insegnante di italiano e ha gestito la Trattoria Italia a Lima. La sua vita, raccontata nel libro autobiografico Dall’Appennino alle Ande e ritorno, è un esempio di come ci si possa allontanare da casa alla scoperta del nuovo e ignoto senza dimenticarsi delle proprie radici.

Incuriositi dalla sua personalità vivace ed appassionata, l’abbiamo voluta incontrare ed intervistare:

  • Carla, perché ha scritto il libro? Quali sono i motivi più importanti?

“Innanzitutto, per scrivere bisogna avere voglia di farlo! Prima dell’avvento della tecnologia moderna c’erano solo l’inchiostro e la carta per annotare qualcosa, e quindi scrivere aveva una importanza pratica diversa.

Mia madre mi ha sempre detto che con la matita in tasca, anche quando hai dei problemi, puoi semplicemente usarla e scrivere. Mi sono ricordata di questo prezioso consiglio, e ho scritto il libro perché ad una certa età bisogna tirare le somme, vedere ciò che hai fatto, e metterlo nero su bianco. La mia vita, posso dire con un po’ di narcisismo, mi ha dato soddisfazioni e volevo raccontarlo per lasciarne traccia a chi verrà dopo.”

  • Come confronterebbe la sua esperienza in Perù con i luoghi comuni dell’emigrazione italiana? Ha avuto modo di entrare in contatto con altri bolognesi che hanno fatto un’esperienza simile alla sua?

“La mia migrazione si è verificata in modo strano. Prima di partire, lavoravo in un paesino montano come insegnante elementare, e proprio lì, incontrai il mio futuro marito che stava preparando un passaporto per andare in Perù per lavoro. La guerra aveva fatto grossi danni nel bolognese, specialmente sull’Appennino, e il lavoro scarseggiava: il mio futuro sposo aveva deciso di trasferirsi in Perù per cercare un tipo di legno che allora si usava per fare le macchine da gelati. Per ironia della sorte, quando fu pronto a partire con tutti i documenti, erano già state inventate nuove macchine per cui il legno non serviva più, ma a quel punto decise di partire comunque, avendo ormai faticato così tanto per ottenere i documenti: bisogna ricordare che quelli che partivano dopo la guerra partivano sì per necessità di lavoro, ma anche per la voglia di avventura. Correva nell’aria il desiderio di ripartire scoprendo cose nuove! E questo era anche il nostro caso”

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  • Dopo i periodi trascorsi in Perù è sempre tornata in Italia e a Bologna: come è stato vedere Bologna cambiare nel corso degli anni?

“Dopo la guerra, e il ritorno alla normalità, Bologna è veramente rinata. Bologna, con tutta la sua cultura e tradizioni, è stata ricostruita secondo il suo passato, e solo dopo si è pensato al nuovo. La differenza con Lima? Quando arrivai a Lima, ci vivevano 500 mila persone, adesso conta 13 milioni di abitanti e Bologna è ancora ben lontana da questi numeri. A causa anche della violenza e del terrorismo nelle campagne, tantissime persone si sono spinte verso la città di Lima, soprattutto giovani, e la città è cresciuta moltissimo in breve tempo. La gioventù come sempre cerca spazio, vitalità, modernità, cose nuove”.

  • Come è cambiata la sua vita dopo essersi trasferita a Lima? Nel suo libro sono descritte le reazioni della famiglia alla decisione di partire: come hanno reagito invece colleghi/e, amici e compaesani? Come era vista la sua scelta?

“Mi ricordo che prima di partire una compagna di scuola mi disse, ma sei sicura? Ho sentito che alcuni vanno via e non tornano! Ma io ero entusiasta, volevo vedere cose che non avevo mai visto. Le reazioni degli altri in generale non erano favorevoli: io ero la “scrivana” della borgata, e i compaesani parlando con i miei genitori gli dicevano che non mi avrebbero dovuto far partire. I miei familiari erano molto delusi, anche perché la gente del paese era arrabbiata con loro. Sono potuta partire solo dopo i 21 anni, che allora rappresentavano la maggiore età!”

  • Cosa si poteva aspettare un italiano appena arrivato in Perù? Com’era l’accoglienza a Lima? Esistevano strutture che potevano aiutare ad ambientarsi o ci si affidava interamente a conoscenti e familiari?

“All’inizio c’erano praticamente solo le ambasciate per i documenti, poi si formarono le associazioni regionali che ci aiutavano a farci sentire un po’ come nella nostra madrepatria. Nella mia esperienza di emigrata, ho sempre trovato gente disponibile ed ospitale. Ricordo che per comunicare con Bologna, i tempi erano molto lunghi, la posta era lenta, poiché le lettere attraversavano l’oceano via nave, quindi occorreva un mese prima che arrivassero a destinazione, ed un altro mese per attendere la risposta. Una bella differenza con la comunicazione di oggi!

Io sono diventata radioamatrice, e questa è stata una fortuna. All’inizio, pensare di dover imparare ad usare la radio mi intimoriva. Qualcuno però mi disse: “sai usare il ferro da stiro?” Ovviamente la mia risposta fu: Sì! “Sai forse cosa c’è dentro e come funziona? No! Puoi però usarlo comunque.” E fu così che i miei timori scomparvero! La radio ha cambiato tantissimo la mia vita: allora il telefono costava molto, e non ci si poteva permettere di usarlo per scambiare due chiacchiere come è naturale oggi. Con la radio, invece, si poteva parlare a lungo: a Lima mi conoscevano come Mamma Radio, sapendo che potevo mettere in contatto genitori e figli attraverso la radio.“

  • Lei ha insegnato in una scuola in Perù a ragazzi di famiglia italiana: queste scuole erano frequentate anche da bambini peruviani? Gli abitanti del posto erano interessati ad imparare l’italiano? I ragazzi immigrati parlavano il dialetto o l’italiano?

“Lo spagnolo e l’italiano sono molto simili, e nelle scuole italiane c’erano sia ragazzi peruviani che italiani. Proprio per questo con la lingua si potevano fare molti scherzi, giochi e anche errori involontari, a volte molto divertenti, come in alcuni episodi raccontati nel libro.

Allora tutti parlavano in dialetto, e già era difficile capirsi con qualcuno di Forlì! Ad esempio, nell’Appennino bolognese si parla un dialetto che pronuncia la “S” simile a quella dello spagnolo. “A Lima, quando stavo imparando lo spagnolo, mi chiedevano se ero di Madrid! I bolognesi invece avrebbero indovinato subito che venivo da Sasso Marconi.” Il dialetto era anche un simbolo di “casa” per chi era lontano.  “Quando ho aperto la nostra trattoria a Lima, ogni volta che entrava in bottega una persona triste, stressata, gli bastava sentire qualcuno parlare in dialetto e bere un bicchiere di vino, ed ecco che tutti si rallegravano “.

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